Riflessioni sull’invasività di alcune musiche commerciali, tendenzialmente polarizzate su una vibrazione triste / negativa, non di rado propinate senza chiedere il permesso degli ascoltatori, in luoghi pubblici e non . . . La prima versione di questo testo risale a svariati anni fa, e lo ho ritrovato adesso, proprio durante i giorni iniziali del Festival di San Remo
PREMESSA DELL’AUTORE: ho ritrovato queste riflessioni inerenti il disturbo che alcuni tipi di musica, triste e “plasticosa”, possono provocare, individualmente e socialmente, proprio all’inizio del Festival di San Remo dell’anno corrente, immancabile appuntamento musicale italiano che ai suoi albori, ed anche oltre, poteva avere un Senso anche rilevante, ma che purtroppo, almeno secondo me, lo ha perso progressivamente sempre di più. Sono parole piuttosto attempate (anche se ancora attuali, a quanto pare): risalgono infatti al periodo in cui ero sfollato nelle Marche dopo il terremoto che colpì la mia città, L’Aquila, nel 2009. Sono stato in provincia di Ancona (Marcelli di Numana, in prossimità dello stupendo Parco Naturale del Conero) dall’aprile 2009 al settembre 2010, e ho messo per iscritto questi pensieri nell’estate del 2010, pochi mesi prima di tornare a casa, dunque . . . Mi rivedo meno di allora, in alcuni toni piuttosto aggressivi, che magari trasudano anche un po’ di immaturità (stavo non tanto bene, all’epoca, e non solo a causa del tragico evento che colpì il capoluogo abruzzese). Ma la penso esattamente come all’epoca, per quanto riguarda l’invasività con cui determinati tipi di musica vengono proposti / imposti, specie tramite la loro trasmissione in luoghi pubblici, come supermercati e centri commerciali, vista la assidua frequenza con cui stazioni radio mainstream e non le mandano in onda. Mi riferisco soprattutto a quel tipo di musica italiana (presunta o effettivamente) cantautoriale commerciale che esprime i dispiaceri d’Amore (presunto o effettivo) dell’autrice o dell’autore, non di rado su basi musicali che rendono, a mio avviso, quello stato d’animo in chiave artificiale / artefatta. Un’unione di pop di plastica e musica (appunto) cantautoriale, a volte DI PER SE’ autentica e profonda, nel momento della sua creazione, ma poi ritoccata a dovere per essere propinabile commercialmente,e a volte (ne sono certo) concepita in partenza in maniera non autentica.
Sono convinto che una parte di “potere”, a cui conviene tenere la popolazione in una condizione passiva ed insoddisfatta, abbia deciso da tanto di favorire la divulgazione di messaggi tristi. Di per sé, è un SACROSANTO diritto dell’artista esprimere il proprio VERO stato d’animo, nel momento in cui decida di mettere in gioco l’espressione autentica del proprio vissuto tramite Mezzi Sacri come la Musica, lo Scrivere, le Arti Visive e quant’altro, ed anche un sacrosanto dovere, verso sé stesso/a e verso il pubblico (vasto o sparuto che sia) essere autentico. Alcune canzoni d’Amore tristi sono nate come delle STUPENDE Poesie. E’ però un sacrilegio virtuale, nei confronti di quei Sacri Mezzi, verso il pubblico e soprattutto verso la propria persona ed Anima, esasperare l’espressione di quegli stati d’animo in maniera “plasticosa – artificiale”, strumentale quasi solo o solo al guadagno e, appunto, ad una sorta di controllo o manipolazione delle emozioni e dei pensieri del pubblico (e quindi, in una certa misura, anche delle sue azioni e delle sue scelte). Tra l’altro, poiché il testo risale a parecchi anni fa, è ovviamente anteriore (nell’illusione del tempo lineare matrix suddiviso in “passato”, “presente” e “futuro”) alla creazione di quel trap che tanto va di moda oggi come oggi, un’unione di elementi rap e / o hip hop con sonorità a metà strada tra il malinconico e l’aggressivo, che pare aver sdoganato in tutto e per tutto l’artefazione del modo di esprimere i sentimenti tramite la musica. E che, proprio come il genere cantautoriale – presunto o effettivo- italico (e non) di cui sopra, viene propinato di continuo (in alternanza con musiche frivole, tipo le hit estive “da trenino”, gran successo per qualche mese e poi destinate al dimenticatoio, nella stragrande maggioranza dei casi), senza chiedere il permesso del pubblico. Il quale ha mediamente dimostrato di essere complice, con le scelte del mainstream, o ad esse indifferente, e la cosa è abbastanza comprensibile, se – mi si perdoni il tono forse un po’ qualunquista – una persona lavora dalla mattina alla sera, o se comunque ha delle priorità decisamente primarie, rispetto a porsi il problema di quel che viene mandato in onda in tv e in radio. Meno comprensibile è però secondo me far finta di non capire, quando quella lunghezza d’onda dall’intrattenimento sconfina nel vissuto personale. E far finta di non capire che la scelta degli artisti da “amplificare” e divulgare ha arbitrariamente escluso o messo in secondo piano il lavoro di elementi che avrebbero, hanno, hanno avuto e avranno molto – o anche poco, un poco sano – da dare alle Arti e alla Cultura, e alla Vita in sé. Buona lettura!
“Ti ringrazio per avermi spezzato il cuore / finalmente potrà entrare la luce”…o qualcosa del genere…Chi sto citando? Sinceramente, non lo so. E’ un verso (che di per sé potrebbe risuonare come alta Poesia) captato da una canzone trasmessa in sottofondo dalla radio mentre facevo la spesa -porto quasi sempre con me taccuino e penna… Sono entrato neanche un quarto d’ora fa al supermercato qui dietro casa. Dopo il riposino pomeridiano, infatti, la voglia di zuccheri si è fatta sentire e quindi, con gli ultimi spicci che mi sono rimasti, ho acquistato dei biscotti in offerta. La musica che fa da sottofondo ai sorridenti acquisti di tanti sorridenti turisti, in questa sorridente località balneare (come accennato nella premessa, Marcelli, frazione del gioiellino storico chiamato Numana, in provincia d’Ancona – N.d.A.) era malinconica, triste – e prevedibile, anche. Devo ammettere, mi ha fatto percepire un senso di incolmabile nostalgia che non lascia indifferenti (qualcosa come la nostalgia d’un qualche eone passato, ma mi rendo conto che è una percezione soggettiva), una lamentazione per il sentimento di qualche paradiso precluso all’umana condizione, angoscia per la sua apparente irraggiungibilità, un riverbero ancestrale e celestiale, maculato di tristezza profonda, di disagio incancrenito. La soggettività di come decodifico la sonorità nulla toglie all’oggettività della lunghezza d’onda appunto triste. Ribadisco, non so di chi siano le parole captate dalla musica in questione, posso solo dire che era una voce femminile da madonna addolorata e/o da odalisca straziata che tanto mi fa pensare alla Pausini e alla Consoli …non mi stupirei se venissi a sapere che si trattava della prima…il tono di voce della canzone me la ricordava parecchio, mentre mi ha fatto pensare alla seconda più che altro a livello di parole… non era lei… lei ha una voce più…più… (!), o forse meno…meno (!)… .
In questo momento mi sento triste ed incazzato, soprattutto. Fin qui, sono affari esclusivamente miei – anche se il “merito” della mia condizione non è soltanto frutto di responsabilità mie… Di certo, nessuno è tenuto a farmi da assistente sociale, né a convincermi che la Vita è bella nel momento in cui sono offuscato nella percezione della sua intrinseca Bellezza. Quello che una parte del “resto del mondo” dovrebbe fare (non certo solamente per quello che penso o percepisco io) è smettere di lanciare a sfregio continue induzioni di tristezza, depressione subliminale amplificata ad ogni angolo di aggregazione, vibrazione disarmonica spesso spacciata per qualcosa di romantico ed aulico e dolce, ma “glassato” abbondantemente di plastica, e frutto di conti fatti a tavolino…ma per favore!!! Più e più volte, mi è stato fatto notare che sono violento, quando parlo ad alta voce, quando mi incazzo e bestemmio, quando “faccio i capricci” -o quando l’unico modo di far valere I MIEI DIRITTI E NON I MIEI CAPRICCI risulta essere davvero un’arroganza virtualmente similare a quella che il “nuovo ordine mondiale” trasmette come proprio “valore” fondamentale – e che al “novus ordo” può anche ritorcersi contro, portandolo rapidamente all’autocombustione…
Più e più volte mi è stato fatto notare che alcune delle musiche che amo – specie il black e il death metal – possono non solo disturbare chi si trovi esposto all’ ”ascolto passivo”, ma anche produrre vibrazioni negative ed involutive che non fanno male soltanto a me, e lo stesso dicasi per il discutibile vizio della bestemmia (che non fa bene né a credenti né ad atei ed agnostici e che per fortuna nel corso del tempo ho ridimensionato parecchio – N.d.A.). Beh, non è errato affermare che quegli atteggiamenti e comportamenti possono sconfinare in una sorta di violenza, caciarona e difensiva, come è vero, di sicuro, che il mio cuore all’oggi non è sgombro di sentimenti d’odio e rancore. Non sono perfetto. E neanche voglio trincerarmi una certa scusa, che è però anche un DATO DI FATTO, ossia che in tanti momenti sono stato più ragionevole e gentile rispetto a tanti “bravi cittadini” pronti a scannarsi per un parcheggio. Voglio solo notare come il black e il death metal siano per propria natura relegati ad ambiti e circoli chiusi, salvo alcune eccezioni comunque sempre limitate e contestualizzate; sono frutto di una sorta di avanguardismo che, a ridosso tra fine anni ’70 ed inizio anni ’80, ha unito elementi del primo punk – hard core con elementi del metal delle origini, del dark delle origini ed elementi cinematografici e letterari compresi tra il noir e l’horror, e non capita di entrare in un supermercato a comprare il formaggio e il prosciutto e sentire (esempi meramente random tra gioiellini del genere) “Mother/Crepuscolar Whisper” dei piemontesi Mortuary Drape sparata “a palla”; non capita mai di andare al bar per un caffè e trovarsi ad assaporare la bevanda digestiva con l’accompagnamento di Necromancy dei norvegesi Bathory (che quasi quasi vado a mettere nello stereo)…E penso che ciò sia un bene. Invece, in compenso, capita spesso di entrare in un supermercato o in un bar o in altri luoghi pubblici e trovarsi avvolti da un’aria ben più demoralizzante e virtualmente lugubre di qualche musica horror, ben più negativa e PERICOLOSA di tanti presunti od effettivi inni a Satana, o elucubrazioni assortite su crimini reali o immaginari.
Capita molto spesso di scegliere i propri acquisti con lo sfondo rincoglionente, afflittivo, disturbante, sottrattore d’energie di qualche odalisca/madonnaddolorata che rimpiange in rime il suo principe azzurro ormai andato, rendendoci tutti quanti partecipi del suo strazio – che ha ogni diritto di esprimere, ma senza assorbire chi non voglia.
Capita molto spesso di condividere un caffè o un “ammazzacaffè” in un locale pubblico con lo sfondo del “rapporto dettagliato” musicato dell’ennesima cotta adolescenziale finita male di Vasco (che pur apprezzo molto, sotto parecchi punti di vista, specie quello più VERO degli esordi, tipo il lavoro del suo debut, “Ma cosa vuoi che sia una canzone” – Lotus, 1978).
Capita spesso di sentirci ripetere che “lo stadio era pieno e che Cinzia era il suo veleno” o che “Marco se ne è andato e non ritorna più” (ribadisco che questo testo è stato scritto nel 2010, “tirando le somme” sul repertorio musicale medio che mi capitava di sentire di frequente per radio, durante la mia adolescenza, negli anni ’90, fino ad allora – e a quanto pare sono riflessioni ancora attuali, anche se cambiano gli autori e le canzoni – N.d.A.). Ora, non voglio fare la vittima, rischiando anche di degenerare nell’egocentrismo, ma i miei problemi di depressione ansiosa mi hanno già bloccato nel percorso della Vita a lungo e, in dei momenti di vulnerabilità, determinati input possono condizionarmi. Al di là delle problematiche del sottoscritto, alcune statistiche sostengono che un italiano su dieci soffre di depressione, a livelli di intensità differenti (negli oltre dieci anni passati da quando ho messo per iscritto questi pensieri abbiamo avuto modo di renderci conto che molte statistiche sulle condizioni cliniche della popolazione non sono granché attendibili, e già da prima, anche, ma confrontandomi con le persone in carne ed ossa, in giro, era ed è plausibile pensare che quella statistica avesse un certo margine di attendibilità – N.d.A.). Al di là dei numeri ufficiali, è un problema abbastanza diffuso che non riguarda solo me e pochi altri. E, anche se il problema riguardasse solo me e pochi altri, non sarebbe giusto ignorarne la presenza sociale – esattamente come per quanto riguarda ogni altra patologia o problematica, diffusa o rara.
Anche per questo, mi viene di fare una domanda retorica: mi spiegate per quale cazzo di motivo gente che ha già un problema di umore che può condizionarne l’Esistenza tutta deve subire la VIOLENZA, il sottile stupro psicologico dell’essere sottoposti all’ascolto forzato di sonorità depressive dai contenuti depressivi, dovunque capita di recarsi o quasi? Se con un po’ di amici suoniamo industrial-noise, o se mi diletto a cantare black metal, allora dobbiamo/devo fare mooolta attenzione a non disturbare i vicini, – cosa che di per se’ è o sarebbe sacrosanta – perché sennò siamo/sono violenti/o.
Sono un violento quanto vado in giro in macchina con la musica da rave ad alto volume, sono un violento se impreco pubblicamente, sono un violento se non rinuncio a sostenere pubblicamente che stiamo subendo cose ancor più gravi di quelle che razionalmente accettiamo come plausibili e reali, e che la cosiddetta “cospirazione” non è una teoria astratta ma un insieme di fatti di cronaca realmente accaduti e di ipotesi plausibili (e ricordo sempre che neanche si può parlare di cospirazione, perché si tratta semplicemente di un meccanismo mortifero e liberticida messo in moto dal potere abbastanza esplicitamente, senza alcun bisogno di “cospirare”)…Sono un “violento”, dunque. Ma sono un “violento” che ha subito violenze ben peggiori – senza vittimismi di comodo – e, come o peggio di me, milioni di altre persone. Una violenza che si compone di interferenze macroscopiche, sistematiche / sistemiche, ma anche di piccoli, insidiosi dettagli. Dei particolari che possono aprire tante vie d’accesso ad un riverbero insalubre o sottrattore di senso e scopo. L’inondamento frequente dei luoghi pubblici con musica commerciale che parla di pene d’Amore, reali o inventate, che rende di pubblico dominio le paturnie immaginarie o la depressione sostanziale di qualche cantante (o di chi gli scrive i testi) è una delle piccole violenze, come detto poc’anzi, sistemiche, implicite, che ha contribuito ad imbrattare l’umore e l’inconscio mio e di tante altre persone. Anche persone per loro fortuna estranee alla depressione stanno comunque subendo una costrizione, una coercizione virtuale. I canali radiofonici che mandano in onda una prevalenza netta di musica artificiale decantante artificiale tristezza (o finta gioia) stanno contribuendo attivamente alla creazione di un “campo di concentramento umorale” globale.
Sono troppo sensibile? Magari sì. Ma è una costante storica che le guerre, e altre “amenità”, siano state innescate molto a partire dall’infelicità dei singoli individui. Un esempio in merito a questo discorso, a proposito delle “amenità”, di cui già ho scritto altrove, è il boom dell’eroina (commercializzata in condizione di proibizionismo schiavista neo–feudale, che ne ha ovviamente aggravato gli effetti collaterali) negli anni ’80: sono convinto che sia stato favorito ANCHE da “dettagli minori / subliminali / secondari”, TRA I QUALI la diffusione capillare su larga scala di musiche commerciali incentrate sul dolore d’Amore (a livello di sonorità e a livello di testo). Ma la responsabilità all’epoca venne data, dal luogo comune giornalistico e dell’opinione pubblica media, molto di più ai maggiormente eclatanti metal e punk, che pure possono aver contribuito a promuovere l’abuso di sostanze (come impostato dal regime della proibizione apparente, ricordiamolo sempre), ma ad una intensità meno rilevante, fosse anche solo perché sono generi che hanno smosso l’interesse di una parte più ridotta di popolazione. Mi rendo conto che questa osservazione potrebbe sembrare non tenere conto della capacità di discernimento e del libero arbitrio degli individui, e suonare un po’ semplificatrice. Ma bisogna tenere conto che molti fruitori sia della musica commerciale (strumentalmente) triste, sia dei tipi di rock più oltranzista, come appunto il metal ed il punk, furono ragazzini dal super io non ancora formato, molti in condizione di indigenza e/o di alienazione, appartenenti a tutti i ceti. I giovani provenienti dal sottoproletariato urbano furono, come sempre, i target preferenziali iniziali, ma molto male venne fatto anche a certi “ribelli-pària” dissidenti interni all’alta borghesia, passando per i figli e le figlie di ogni “sfumatura” dei ceti mediani. E, a proposito di semplificazioni, bisogna tenere presente che parimenti semplificatori furono i tanti punti di vista che tentarono di censurare in toto le forme più estreme di rock (oltremanica e oltreoceano anche più che qui in Italia, qualcuno forse ricorderà l’esperienza decisamente grottesca di censura statunitense del comitato PMRC, co – creata, tra le varie persone, dai coniugi Gore e parecchio sostenuta, se non ricordo male, dalla first lady del tempo Nancy Reagan). Per onestà intellettuale bisogna riconoscere che quelle forme di censura crearono problemi anche ai tipi di musica meno “eclatanti”, comprese le musiche commerciali di cui parlo in questa sede. Un po’ ciò fu fatto per stuzzicare il solito vecchio gusto del proibito e vendere il prodotto compiuto ad una più vasta clientela, dal punk più sotterraneo al pop più “sgargiante”, un po’ (almeno secondo me) fu un tentativo per testare la resistenza media delle persone, per vedere se gli esponenti e i fan delle forme artistiche che si ponevano, a torto o a ragione, come altro, rispetto alla tradizione, avrebbero mollato la presa o avrebbero difeso il proprio punto di vista (potrebbe essere interessante ascoltare l’arringa autodifensiva con cui Dee Snider, cantante dello storico gruppo metal statunitense Twisted Sister, rispose in sede processuale alle accuse di oscenità di cui era co – imputato, assieme ad altri artisti ed artiste di vari generi, soprattutto metal, interloquendo con uno dei coniugi Gore ed altri esponenti del sunnominato organo censore PMRC; non so se il filmato fosse già disponibile su YouTube, quando ho scritto la prima versione di questo testo nel 2010 – in cui comunque non ho fatto cenno per niente alla questione: ora è disponibile in più di un canale, anche se all’oggi non sono a conoscenza di versioni sottotitolate o doppiate in italiano – N.d.A.).
Per concludere.
C’è chi è violento per ignoranza ed istinto. C’è chi, come me, è arrivato ad assumere degli atteggiamenti e dei comportamenti aggressivi per non essere cancellato. C’è chi è violento per calcolo ed interesse. Non è una “paranoia complottista”, MA UN ASPETTO NEANCHE TANTO NASCOSTO DELLA REALTA’, il fatto che la ripetitiva ripetizione pubblica di musiche commerciali tristi possa rappresentare un inquinamento emotivo aggiuntivo, che la cosa all’inconscio faccia male. Ma di sicuro ha fatto più audience, e più comodo al potere (a proposito di paragoni con il metal) ad inizio anni ’90, pompare notizie su alcuni black metallers norvegesi che si sono accoltellati e hanno bruciato delle chiese. O dar rilievo al fatto che una canzone di Ozzy Osbourne avrebbe contribuito alla scelta suicida di un ragazzo statunitense, negli anni ’80 (mi chiedo, allora, quante persone che hanno fatto una fine analoga abbiano recepito la pubblica diffusione di melodie angoscianti come stressore depressivo aggiuntivo, conscio od inconscio…). Con questo, non voglio alleggerire i tanti demeriti umani e sociali imputabili ad un certo numero di creatori, esecutori ed ascoltatori di musiche che personalmente amo, né nego di aver creato fastidio e problemi in più e più momenti, con il loro ascolto, e con un dato atteggiamento “estremo” annesso e connesso, che – me lo dico da solo! – può avere del grottesco e portare al degrado. Ma di sicuro né io né loro veniamo mandati in onda quasi 24/7 sulle principali stazioni radio. Nessuno è costretto a sentire me o loro ogni qual volta accede nei meandri di un qualche meraviglioso nuovo centro commerciale. Di chi è, dunque, la vera violenza, in primo luogo? Di chi ancora porta avanti musiche e contenuti estremi perché, come titola un album storico nel panorama della musica estrema, “condizioni estreme chiedono risposte estreme” (mi riferisco al debut del gruppo statunitense grind core/death metal Brutal Truth, “Extreme Conditions Demand Extreme Responses”- Earache, 1992) – o magari perché, semplicemente, sta incazzato col mondo? O di chi impone la tristezza artefatta della mediocrità di base, o la mediocrità di base della tristezza artefatta ad ogni angolo dello spazio sociale condiviso?
Non intendo NELLA MANIERA PIU’ ASSOLUTA insultare il dolore (quando di vero dolore si tratta) né l’Arte di nessuno. Io stesso ho scritto canzoni (ho musicato mie poesie, più che altro, creando però di fatto delle canzoni) che parlano di vissuti e stati d’animo tristi – lavorando però in modo spontaneo. Voglio solo ribadire il diritto mio e di molta altra gente di non essere inquinati da un messaggio del genere di frequente, in un modo ben più subdolo di tanti inquinanti espliciti (per la cronaca, tra l’altro, in alcuni momenti ho problemi anche a suonare alcune di quelle mie canzoni, perché mi ricordano momenti e contesti spiacevoli). Mi sento solo di far notare come la musica paranoica di massa possa essere uno dei messaggi subliminali funzionali al rafforzamento progressivo quotidiano del grande fratello, e di come tali sonorità e parole agiscano sinergiche mano nella mano con le forme di musica gratuitamente frivole che stimolano ad una pseudo – allegria beota, o ad una non – libertà recepita come libertà. E ribadisco all’infinito che questa posizione non è presa solo in conseguenza dell’effetto che la cosa fa a me. (a distanza di più di dieci anni da quando ho scritto la prima versione del testo, grazie a Dio, ho sviluppato la capacità di farmi scivolare addosso o comunque di non farmi condizionare emotivamente da determinati input esterni, ma rimango dell’idea che sia molto pericoloso ed ingiusto un eccesso sociale / pubblico di sonorità artificiosamente orientate alla tristezza da film – o ad una pseudo – allegria frivola, entrambe distrazioni dal senso profondo di Sé, junk food per l’ego, e fattori di stordimento in un contesto in cui è preferibile essere consapevoli). E al di là dell’effetto psicologicamente ed energeticamente inquinante di tali musiche e parole, penso… Forse sono antiquato, ma sono convinto che la Musica sia e debba rimanere almeno in una certa qual misura, sacra. O sacro – profana che dir si voglia.
Paolo “Assurdo” Paoletti